Non esiste il brand manager di Internet ma se ci fosse dovrebbe essere preoccupato.
Nel complesso, il sentiment associato a Internet è ancora ampiamente positivo ma il trend degli ultimi anni segnala la sofferenza del Brand per via della crescente associazione della sua immagine ad alcune dimensioni negative. In altre parole, il brand Internet conserva ancora la capacità evocativa delle origini e rimane saldamente ancorato ad alcuni valori positivi largamente condivisi nella nostra società (libertà, futuro, innovazione, divertimento, connessione col mondo) ma negli ultimi anni la sua immagine ha risentito delle tensioni che le relazioni digitali hanno generato a tutti i livelli: personale, famigliare, sociale, politico e diplomatico.
L’ultima edizione della ricerca di Human Highway, “La dimensione digitale della vita” (scarica il PDF), mostra che alcuni significati associati a Internet sono cambiati negli ultimi otto anni e, a partire dal 2013, sono notevolmente cresciuti quelli di sentiment negativo.
La componente negativa dell’immagine di Internet è triplicata negli ultimi 8 anni mentre quella positiva è aumentata solo del 10% (è quindi calata la parte neutra).
The Internet is Broken, quindi? La tesi di Ev Williams ha iniziato a farsi largo anche nell’intera popolazione e non solo tra i professionisti del settore. Non si tratta di un’interpretazione ideologica o generata da interessi di parte ma è il risultato di una serie di difficoltà di adattamento degli stili di vita e della nostra cultura alla trasformazione digitale del quotidiano. Quasi 4 individui online su 5 pensano che nell’ambiente connesso sia più facile manipolare le persone rispetto all’età “pre-digitale”, il 77% ritiene che “i ragazzi abbiano notevoli problemi di socializzazione a causa del digitale” e il 70% che “le notizie online ci fanno perdere la capacità di distinguere il vero dal falso”. Quasi una persona su due esprime timori per le attività di profilazione e trattamento dei dati di comportamento online e conclude che “quando usa i miei dati la tecnologia mi dà dei vantaggi ma limita la mia libertà” (47% del campione).
Questi atteggiamenti critici si sviluppano all’interno di un giudizio di base positivo sull’influenza del digitale nel quotidiano: prevale l’idea che “il digitale semplifica la vita” e che grazie a Internet c’è una “generale crescita di competenze e conoscenza”: l’accesso online ai servizi digitali dovrebbe quindi “essere un diritto garantito dallo Stato” per il 72,9% degli intervistati.
La sintesi di due visioni contrapposte si produce nella posizione realista di 18 milioni di italiani online (poco meno della metà del totale) che in definitiva ritiene di “vedere dei pericoli” e tuttavia pensa che “i benefici della tecnologia sono tali che per averli possiamo rinunciare a un po’ di privacy” e che “l’equilibrio è giusto: io do un po’ di mie informazioni e dall’altra parte ricevo i benefici che mi aspetto”. Il panorama appare comunque in movimento poiché il 60% degli intervistati ritiene che “nel giro di 5 anni sarà chiaro a tutti che non bisogna dare troppi dati ai sistemi che li usano per fini commerciali”.
La ricerca si basa sull’analisi di 27 aspetti dell’impatto delle nuove tecnologie nella vita quotidiana e 19 ulteriori informazioni sui comportamenti e le valutazioni rese da un campione di rispondenti rappresentativo dei 40 milioni di italiani online. Le conclusioni rivelano l’emergere del desiderio di disconnessione da parte di un ampio segmento di individui, una sorta di rigetto causato da troppo digitale che raggiunge la massima intensità tra gli uomini di età compresa tra i 35 e i 54 anni. La malinconia del mondo pre-digitale che ne scaturisce deriva anche da un’amara considerazione: mentre il digitale ha semplificato la vita e aumentato gli strumenti per esercitare la libertà, non ha allo stesso modo migliorato le relazioni personali e sociali.
A tal punto che, se domani non fossimo più connessi, il 53,9% degli italiani si sentirebbe più libero (a fronte dell’8,9% che si sentirebbe meno libero) e il 41,9% più felice, a fronte del 14,2% che dichiara il contrario. Un ipotetico sollievo che segnala un problema concreto: il digitale ci stressa.
E’ possibile che uno dei prossimi trend socioculturali sarà la ricerca di disintossicazione dal digitale, la presa di distanza dalla tecnologia e l’aspirazione a un nuovo modo di vivere, nello status “unavailable”.
I risultati della ricerca ci indicano che il benessere digitale non cresce automaticamente con la diffusione della tecnologia, per quanto questa ci semplifichi molti task nell’organizzazione della vita. Il benessere digitale è frutto di un rapporto armonioso tra tecnologia, relazioni umane e stili di vita che non siamo ancora riusciti a sintetizzare.
E’ la sfida aperta per la nostra generazione.